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Quando uno spot deride la didattica musicale

di Lanfranco Perini

In questi giorni mi sono imbattuto in uno spot pubblicitario di una famosa marca di carta igienica che racconta più o meno questa storia: durante un saggio scolastico, in cui quattro bambini suonano svogliatamente il flauto dolce, due genitori con facce desolate, afflitte e annoiate, fanno intendere che non vedono l’ora che la performance dei loro figli finisca. E in chiusura, il famoso slogan “Solo i ………… ………… non finiscono mai!”.

Mi permetto di esprimere il mio grande disappunto per un messaggio che – al di là dei toni ironici – considero offensivo in primis nei confronti della scuola in generale, sempre più bistrattata in ogni sede, perfino istituzionale; poi, nei confronti dell’educazione musicale che, nonostante l’impegno di tanti didatti, pedagogisti e docenti, in Italia non riesce a decollare, al punto che viene ancora considerata da molti un’inutile perdita di tempo – in barba ai tanti studi scientifici che dimostrano il contrario! Infine, nei confronti del flauto dolce, spesso considerato lo strumento che allontana i giovani dalla musica, quando in realtà per milioni di bambini nel mondo rappresenta a tutt’oggi il primo, e a volte unico, contatto con il linguaggio musicale.

Lo spot sicuramente funziona: tutto è studiato alla perfezione da grandi professionisti del settore, abilissimi nell’intercettare le opinioni delle persone. Ma mi chiedo: perché prendere di mira la scuola? La scuola dovrebbe essere vista come un ambiente stimolante, dove ogni studente ha la possibilità di esprimere il proprio potenziale e prepararsi al meglio per il futuro. Inoltre, è essenziale riconoscere il ruolo vitale degli insegnanti, che con dedizione e passione guidano gli studenti nel loro percorso di crescita e apprendimento.

Se una pubblicità sulle reti nazionali sminuisce questa istituzione, e denigra la materia Musica nello specifico, è innegabile che la percezione pubblica ne sia influenzata negativamente. E tutto ciò è triste e preoccupante al tempo stesso.

5 pensieri su “Quando uno spot deride la didattica musicale

  1. Caro maestro, non ho ancora incrociato questo spot, ma mi fai venire a mente tanto meme e post ironici che ironizzano sull’utilità di imparare a suonare il flauto a scuola. Per tutta risposta commento sempre (cosa che dico anche ai genitori, durante i saggi scolastici) ricordando che il flauto dolce prima di tutto è uno strumento VERO, col quale si eseguono concerti, soprattutto di musica barocca, poi che aiuta il controllo della respirazione (con ricadute sul canto e sul benessere fisico), che da l’ opportunità di suonare (e, quindi, conoscere) tanti brani di diversi linguaggi, infine è uno strumento che aiuta a recuperare il tatto, che stiamo perdendo per via di tablet e smartphone, tatto e motilità fine. Altro che strumento inutile!

    1. Ho insegnato per 10 anni flauto dolce alla primaria.Era l ‘unico strumento accessibile a tutti che favoriva l’apprendimento del linguaggio musicale.Ho avuto sempre apprezzamenti da tutti e specialmente dai prof delle medie che accoglievano alunni già preparati.Grazie Lanfranco Perini per la guida preziosa!!

  2. Se una ditta paga (molto) uno spot basandolo sul cliché della noia dei saggi di flauto un motivo c’è.

    Non oggi forse, ma in passato sì. E per molti! Altrimenti non avrebbero mai scelto di rievocarlo.

  3. Questo è il risultato di decenni di saggi musicali terrificanti.
    Purtroppo il flauto dolce, prima che possa produrre un suono gradevole, richiede un certo impegno.
    C’è la voce.
    C’è la body Music, body percussion, c’è lo strumentario Orff con cui realizzare meravigliosi saggi senza stressare chi ti deve ascoltare.
    Trovo che la Scuola abbia bisogno ancora di un pochino di aiuto per rendere più divertente l’ora che dovrebbe essere la più divertente.

  4. Mi imbatto qui nello spot, perché non ho la tv. Cerco di immaginarlo… sì, funziona: in molt* adesso genitori che ridono guardandolo e comprano la carta igienica (magari proprio per portarla a scuola, dove manca) richiama qualche esperienza vissuta da ragazzin*, di quando si soffiava per le prime volte in quello strumento e non veniva fuori quello che si sperava, si suonava a scuola un po’ annoiati o convinti di non riuscire, o pensando all’interrogazione di matematica, o innamorati per la prima volta. Sono le stesse persone che quando vanno a vedere un as-saggio di musica dei figli*. ora, si commuovono, in verità.
    Lo stereotipo del flauto inascoltabile mi ricorda quello del compito di matematica temuto, dell’interrogazione di storia che teneva svegli la notte, dell’attesa del voto del tema… una scuola di sacrifici e “dell’obbligo”.
    Sì, senz’altro di pessimo gusto lo spot: strappa una risata e vende, fa il suo lavoro, ma potrebbe persino disegnare lo spaccato di un’Italia che pensa che l’impegno non paghi, che l’arte possa essere talvolta ridicola. E dimentica senz’altro che se ancora si è un po’ umani, forse è grazie alla scuola, all’arte…
    Insomma, in questo contesto, anziché la leggerezza della carta in questione, si legge una gravità del messaggio. Ma non è che per qualcun* la scuola è un cesso?
    Sorrido.

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